Gesù è ormai “un uomo che cammina verso la morte”. Lungo la sua Via Crucis si alternano diversi personaggi: il Cireneo, la Veronica, il procuratore Ponzio Pilato, il sacerdote Caifa, qualcuno degli apostoli, la Maddalena. C’è pure Longino, un soldato romano. E’ lui che ha flagellato Gesù, lo ha crocifisso, lo ha colpito al fianco. Per questo la tradizione lo chiama Longino, da lancea che vuol dire appunto ‘lancia’. Longino unisce alla rigida disciplina militare la totale mancanza di pietà. Rotto ad ogni esperienza, abituato alla guerra, vede scorrere il sangue e resta indifferente. Solo vedendo morire Gesù si risveglierà dal suo torpore affettivo.
Anche noi rischiamo di essere indifferenti ai tanti mali del mondo. In particolare, rischiamo di diventare indifferenti alla guerra. Forse però più che indifferenti siamo solo impotenti. La maggior parte di noi non ha idea di cosa sia una guerra. Nessuno di noi riesce ad immaginare ad oggi per la guerra in Ucraina 200.000 tra morti e feriti per parte e circa 18.000 vittime civili. Ci sentiamo impotenti, atterriti, inutili. Eppure la pace è sempre possibile. Non meno che la guerra. Non c’è, infatti, nulla di ineluttabile, anche se a distanza di più di un anno dall’avvio del conflitto, si aprono praterie alle armi più sofisticate e alla strategia della tensione.
La pace, per contro, è una via “stretta” perché bisogna volerla con tutto sé stessi, lottando, perfino, contro sé stessi. Non si arriva mai alla pace per caso. Chi da tempo, spesso in totale solitudine, sta affermando questa semplice verità è papa Francesco, secondo cui “assistiamo a una guerra mondiale a pezzi che tuttavia minacciano di diventare sempre più grandi, fino ad assumere la forma di un conflitto globale”. L’unica via per risolvere i conflitti in atto tra Stati è – aggiunge il papa – “fermarli in tempo, quando sono ancora in gestazione”, prima che si arrivi agli scontri. E per riuscirvi servono il dialogo, i negoziati, la creatività diplomatica. Nell’attesa c’è spazio per il contributo di tutti: chi nel riconciliare le parti opposte, chi nel raccogliere lacrime e sofferenze di profughi scappati, chi nell’inviare aiuti alimentari. C’è tanta gente che si mette in gioco nei conflitti senza dover alimentare la violenza, senza richiedere vincitori e vinti, disposta a perdere qualcosa di sé per la pace. Si chiamano “costruttori di pace”. Il primo di tali “costruttori” è l’uomo della Croce, un innocente accusato e portato al patibolo, che evita sia di fare l’eroe sia di fare la vittima. Si consegna, accoglie tutti, anche chi lo accusa, non si difende, non rivendica, ed è disposto a fallire. Ci spaventa la sua impotenza, ma il figlio di Dio sta aprendo una strada inesplorata che è quella che meglio descrive la condizione umana. Di essa si fa interprete un uomo, un cristiano del secolo scorso che in una Europa dilaniata da conflitti insensati scrive in forma poetica: “Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione, / piangono per aiuto, chiedono felicità e pane, / salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte./ Così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani. / Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione, / lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane, / lo vedono consunto da peccati, debolezza e morte. / I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza. / Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione, / sazia il corpo e l’anima del suo pane, / muore in croce per cristiani e pagani / a questi e a quelli perdona (D. Bonoheffer, “Cristiani e pagani”).
Mons. Domenico Pompili
Vescovo di Verona