Con “La Locandiera” – protagonista nei panni di Mirandolina un’ammiratissima Sonia Bergamasco – arriva al Teatro Stabile di Verona una delle commedie più amate di Carlo Goldoni. La regia di Antonio Latella ne mette in luce l’attualità e la forza. Appuntamento da non perdere da martedì 17 a sabato 21 alle ore 20.45, domenica 22 dicembre alle ore 16 al Teatro Nuovo. Il terzo spettacolo della 38^ edizione del Grande Teatro, la rassegna realizzata dal Comune di Verona in collaborazione con il Teatro Stabile di Verona, è La Locandiera di Carlo Goldoni, diretta Antonio Latella e con Sonia Bergamasco nel ruolo di Mirandolina, una produzione del Teatro Stabile dell’Umbria. Un allestimento profondamente attuale e incisivo quello in scena al Teatro Nuovo la prossima settimana e con protagonista una delle attrici di cinema e tv tra le più apprezzate nel panorama italiano. Sul grande schermo Sonia Bergamasco è stata protagonista di film come La meglio gioventù, La straniera, Come un gatto in tangenziale, Grazie ragazzi e La vita accanto, Quo vado. In tv ha lavorato in diverse serie tra cui De Gasperi-L’uomo della speranza, Tutti pazzi per amore, Una grande famiglia, Il commissario Montalbano, La scelta di Maria, L’amica geniale. Mirandolina gestisce la locanda ereditata dal padre, insieme al fedele Fabrizio, cui è legata da una promessa di matrimonio fatta al padre prima che morisse. Nella sua locanda due clienti, il Conte d’Albafiorita e il Marchese di Forlipopoli, entrambi innamorati di lei, si contendono le sue attenzioni, usando le armi che hanno a disposizione: i soldi l’uno e il titolo nobiliare l’altro. La donna però riesce con intelligenza e superiorità ad arginare i corteggiamenti, consentendosi (quando i limiti della convenienza lo consentono) di ricavarne anche qualche piccolo dono. La misoginia del Cavaliere di Ripafratta, altro cliente della locanda, che dichiara con forza il suo disprezzo verso le donne, accende in Mirandolina il gusto della sfida, tanto che decide di mettere in atto un piano per farlo capitolare. Tra equivoci e inganni, arricchiti e movimentati anche dall’arrivo in locanda delle due attrici Ortensia e Dejanira, Mirandolina, riesce nell’intento di far innamorare il Cavaliere, che però, poi, perde la testa diventando pericoloso. La quiete si ristabilisce quando Mirandolina accetta di sposare Fabrizio, mettendo fine quindi alle pretese di tutti gli altri corteggiatori. Ma come in altre opere goldoniane la fine degli intrighi porta con sé un’ombra di malinconia. «Penso a Café Müller di Pina Bausch. Penso ad una donna nata e cresciuta nella Locanda. Un luogo-mondo che accoglie infiniti mondi. Nel testo goldoniano il tema dell’eredità è il punto cardine di tutto» scrive Antonio Latella nelle sue note alla regia. «Mirandolina seduta sul letto di morte del padre riceve in eredità la Locanda, ma anche l’ordine di sposarsi con Fabrizio, il primo servitore della Locanda. In questo credo che ci sia una inconsapevole identificazione del padre con il servo, come erede virtuale in quanto maschio. Più che un uomo per la figlia, il padre sceglie un uomo per la Locanda, un uomo pronto a tutto pur di proteggere la Locanda. Credo che Goldoni con questo testo abbia fatto un gesto artistico potente ed estremo, un gesto di sconvolgente contemporaneità: innanzitutto siamo davanti al primo testo italiano con protagonista una donna, ma Goldoni va oltre, scardina ogni tipo di meccanismo, eleva una donna formalmente a servizio dei suoi clienti a donna capace di sconfiggere tutto l’universo maschile, soprattutto una donna che annienta con la sua abilità tutta l’aristocrazia. Di fatto Mirandolina riesce in un solo colpo a sbarazzarsi di un cavaliere, di un conte e di un marchese. Scegliendo alla fine il suo servitore come marito fa una scelta politica, mette a capo di tutto la servitù, nobilita i commercianti e gli artisti, facendo diventare la Locanda il luogo da dove tutta la storia teatrale del nostro paese si riscriverà, la storia che in qualche modo ci riguarda tutti. Goldoni fa anche un lavoro sulla lingua, accentuando un italiano toscano. Per essere Mirandolina bisogna essere capaci di mettersi al servizio dell’opera, ma anche non fare del proprio essere femminile una figura scontata. Spesso noi registi abbiamo sminuito il lavoro artistico culturale che il grande Goldoni ha fatto con questa opera, la abbiamo ridimensionata, cadendo nell’ovvio e riportando il femminile a ciò che gli uomini vogliono vedere: il gioco della seduzione. Goldoni, invece, ha fatto con questo suo testamento, una grande operazione civile e culturale. Siamo davanti a un manifesto teatrale che dà inizio al teatro contemporaneo, mentre per una assurda cecità noi teatranti lo abbiamo banalizzato e reso innocente. La nostra mediocrità non è mai stata all’altezza dell’opera di Goldoni e, molto probabilmente, non lo sarò nemmeno io. Spero, però, di rendere omaggio a un maestro che proprio con Goldoni ha saputo riscrivere parte della storia teatrale italiana: parlo di Massimo Castri». Si ricorda l’incontro aperto al pubblico con il cast de La Locandiera in programma giovedì 19 dicembre alle ore 18 al Teatro Nuovo.